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Il Ministero della Solitudine

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Nel 2018 in Gran Bretagna nasce un Ministero della Solitudine. È questo il luogo - reale e immaginifico – con cui abbiamo deciso di tornare a un lavoro di scrittura originale e a un reticolato di partiture psichiche e somatiche. Un luogo capace di catalizzare questioni e nodi del nostro presente, di operare su linguaggi e dispositivi narrativi di prossimità intorno ai desideri, ai rimossi e alle immaginazioni di un’epoca che sempre più richiede di ragionare accanto e con cura alle comunità dei viventi.

 

Il Ministero della Solitudine è diventato così una scrittura di, con e per cinque attori, con cui abbiamo disegnato le monografie e i principi drammaturgici dei fili che si intessono tra le figure. Un ordine di senso, la direzione della storia e immagini ostinate si sono radicate immediatamente nelle radici del lavoro: una scrittura per flash, incontri, incidenti, emersioni e partiture fisiche all’orlo di una danza. All’orizzonte un processo di ricerca a rilascio lento per arrivare a una drammaturgia concertata, dialogica e stratificata.

 

Tenendone ferma la natura leggera e incidentale – come nell’improvviso rendersi conto che la propria vita è racchiusa in un acquario – abbiamo immaginato una struttura articolata attorno a cinque vicende, cinque storie di solitudine. Dell’Istituzione Ministero ne viene definita la natura politica sostanzialmente ambigua e tragicamente comica. È un luogo dove la liberazione del desiderio può attutire l’isolamento? Come si classifica una persona sola? C’è un sussidio di solitudine? In cosa consiste e chi ne ha diritto? Con cosa bisogna coincidere per essere definiti soli e dunque appartenere a una categoria riconosciuta? 

 

L'orizzonte di senso
Indaga la solitudine innanzitutto come incapacità, come difficoltà del desiderio – oggetto non controllabile per definizione – a trovare una corrispondenza, avendo in sé una speranza troppo alta, spericolata o eccessiva, per potersi mai realizzare. O ancora quella solitudine in cui si sprofonda perché ciò che è successo è irrecuperabile e non interessa a nessuno. È lo scandalo della solitudine. È l'affollamento degli assenti nelle nostre vite, siano essi vivi, deceduti, spettri o tutta la moltitudine degli incontri mancati. Solitudine tutta contemporanea, di un’allegrezza insidiosa e irragionevolmente lieve. Solitudine come atlante di ricordi, catalogo di gesti, per percorrere il mondo e trattenere qualcosa di un noi; solitudine incarnata in alcuni oggetti, quasi dei kit di sopravvivenza: uno scatolone con tutta la vita dentro, un barattolo di miele fatto in casa, una pianta di plastica verde acceso, un set da picnic pronto all’uso, come se fossero sacche di storie, utensili eccessivi e numinosi per un’esistenza fuori dal normale.

 

Il principio drammaturgico

Usa il più comunitario dei processi creativi per investigare il più personale dei temi: così Il Ministero della Solitudine nasce da un lungo percorso di creazione collettiva, dal contributo personale - ma sempre condiviso - di ogni singolo attore e dall’architettura di un drammaturgo. Nel desiderio di scendere, con i mezzi del teatro, nella città sola che ci sta intorno e dentro. Cinque voci, cinque figure, cinque variazioni intorno alla solitudine intrecciate in una sorta di danza fatta di parole e del silenzio che sta intorno ad esse.

 

Il principio narrativo

Si muove per capitoli indipendenti, collegati fra loro dallo scivolare dei personaggi nelle storie degli uni e degli altri. Come se queste figure oltre che se stesse diventassero incidenti e proiezioni che precipitano nelle altre singole storie. O come se degli sconosciuti incrociassero per caso, per un istante, le nostre vite per poi scomparire. A fare da perno – vera e propria smistatrice di profili, incontri e vite – è la figura di Simone impiegata del Ministero, una sorta di emanazione stessa del Luogo: incarna i cataloghi, i dettagli, le procedure, i protocolli di tutti gli specifici casi di solitudine che le passano tra le mani. Un personaggio-funzione, la cui professione si dissolve in un’ossessione solitaria fatta di tracce, oggetti, resti e racconti. La lingua è minuta, precisa catalogativa.

Le figure
Primo è di poche parole, la lingua sembra essersi ridotta a un’essenza punteggiata. Ha come unico partner una Real Doll, Marta, accanto a cui silenziosamente mangia e sogna. Per professione è un cleaner-moderatore, pulisce i social network da contenuti giudicati non ammissibili e deve farlo in otto secondi. Con una serie di test e prove indicate dal Ministero, vorrebbe riabilitarsi al mondo e agli uomini. Veste colori pastello. F. – unico di cui non sapremo mai il nome completo – sempre alle prese con difficoltà economiche, chiede a più riprese un sussidio al Ministero per la costruzione di un alveare; ossessionato dal pensiero dell’estinzione passa il proprio tempo a scrivere lettere e offrire consigli di sopravvivenza urbana. Il linguaggio è mobile, veloce, preciso fino a sfiorare la nevrosi. Nella vita di tutti i giorni indossa un abito rassicurante: pantaloni scuri e camicie decorate. Alma esce poco, le fa paura la materia che esplode, scompare e si trasforma. Raccoglie ogni traccia del proprio presente, aneddoti e singolarità: il rumore di un'ape quando muore o come suona il mondo fuori dalla sua stanza. Dorme per sognare, a lungo e a colori, vagare nei propri sogni e di questi trattenere ogni dettaglio. Ha una lingua veloce, associativa, vivida e stonata. Ogni mattina sceglie gli abiti con cura, come se dovesse uscire. Teresa scandisce la giornata con occupazioni di facciata per dare una regola fittizia alla propria esistenza in cui ogni incontro, fatto o accidente, deraglia dal piano reale a quello immaginario. Sta scrivendo un lunghissimo romanzo che presto presenterà al mondo - o almeno così crede. Ha un linguaggio ridondante, acceso, letterario, e che sembra girare a vuoto. Ama indossare un foulard rosso e un soprabito floreale. Teresa e Alma sono madre e figlia: comunicano solo attraverso porte e pareti. Di Simone che intercetta, organizza e riscrive le tracce e le vite degli altri, abbiamo già parlato. Veste elegantemente, sceglie colori tenui, ma con una nota eccentrica. A volte indossa una parrucca azzurro elettrico.

 

La temporalità dello spettacolo Ha una struttura verticale, tutto è già ‘in atto’, come se una parte della storia fosse accaduta fuori campo – solo apparentemente non diacronica – vi si intrecciano diversi momenti nell’arco di vita di ogni figura, come eruzioni nei piani temporali della narrazione, così da produrre dei soprassalti del reale che emerge nei vuoti del racconto. 

La partitura dei corpi
La solitudine, come principio di scrittura, si colloca prima del linguaggio in senso stretto, in uno stato che permetta al respiro di spostare grammi di materiale organico in un flusso con approdi precari. Il corpo non è posizionato, non ci sono posture, non ci sono attitudini. Ne emerge una gestualità che fa da contrappunto e collante fra le storie – gestualità a tratti irriverente, con improvvisi accenti ritmici, tracce di qualcosa di una felicità. Una sorta di glossario dei gesti, delle ferite e delle percezioni dei corpi solitari. Una partitura che riveli una moltitudine, come se questi cinque corpi fossero il condensato delle tante solitudini fuori campo. Si danza il deficit dalla propria azione in scena e s’invita qualcosa della vita a farle posto. 

 

Lo spazio scenico

La storia ha luogo in uno spazio unico: privato e notturno – quello dei personaggi – e pubblico, quasi sempre diurno – la piccola, inadeguata sala d’attesa del Ministero stesso, un bar karaoke dai colori accesi e un’insegna pop rosa shocking, un luogo di passaggio con un distributore che dispone di ogni oggetto possibile. Qualche tavolino solitario abita la scena illuminata da lampade sospese, come da un soffitto immaginario. La natura di questo spazio – sempre interstiziale – come in un acquario, è definita dai contorni che si delineano intorno alle storie. Perno della scena è un grande periaktos iper-realistico, struttura girevole a tre facce, che modifica i luoghi a seconda del lato che si dà a vedere – un frigorifero in acciaio, un poster sgualcito di un atollo che nasconde una grande arnia gialla sotto plexiglas, un distributore automatico di bevande e snacks da cui inspiegabilmente esce tutto ciò che serve. A fondo palco un tulle, al tempo membrana che divide lo spazio e scheletro per disegnare un ambiente urbano fatto di luminosità intermittenti. E tutt’intorno il paesaggio sonoro amplificato dai più diversi supporti, la stessa Real Doll, l’arnia, uno scatolone pieno d’oggetti, suono composto da tracce: echi di canzoncine popolari, scricchioli, rumori cittadini, passi malcerti e assenze. 

 

Forse un inizio

Salgono lentamente le luci, cinque figure attraversano lo spazio - a lungo quasi troppo a lungo - scompaiono e riemergono, si fermano nell’ombra l’una dell’altra e d’improvviso accennano i tratti di un ballo. AI centro, un grande distributore di cibo, fiori, abiti e oggetti d‘ogni sorta, grande e luminescente. Il silenzio è assoluto. La musica sale piano per poi riempire la sala. Buio.

 

Forse un'immagine finale

La funzionaria Simone è sola, dopo che ll Ministero della Solitudine è stato cancellato dalle ruspe, abbandonata in un angolo la Real Doll. Dietro la grande arnia pulsa. Tutt’intorno lo spazio viene invaso da decine di palloncini azzurri Silenzio assoluto, se non fosse per il brusio dell’arnia. Il discorso silenzioso e inattingibile delle api continua fino a diventare assordante. Buio.

 

Il libro

Accanto allo spettacolo per la collana Linea - curata da Sergio Lo Gatto e Debora PietrobonoLuca Sossella Editore e Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale pubblicano il volume Il Ministero della Solitudine, a cura di Maddalena Parise/lacasadargilla e Fabrizio Sinisi, un libro a più voci che oltre al testo integrale dello spettacolo scrive tutte le parole e le riflessioni che ne hanno accompagnato la creazione.

uno spettacolo di lacasadargilla parole di Caterina Carpio, Tania Garribba, Emiliano Masala, Giulia Mazzarino, Francesco Villano drammaturgia del testo Fabrizio Sinisi regia Lisa Ferlazzo Natoli e Alessandro Ferroni con Caterina Carpio, Tania Garribba, Emiliano Masala, Giulia Mazzarino, Francesco Villano drammaturgia del movimento Marta Ciappina cura dei contenuti Maddalena Parise spazio scenico e paesaggi sonori Alessandro Ferroni luci Luigi Biondi costumi Anna Missaglia aiuto regia Caterina Dazzi aiuto regia e coordinamento al progetto Alice Palazzi assistente al disegno luci Omar Scala consulenza alle scenografie Annalisa Poiese fotografie Claudia Pajewski una produzione ERT / Teatro Nazionale in coproduzione con Teatro di Roma-Teatro Nazionale, Teatro Metastasio di Prato in collaborazione con lacasadargilla con il sostegno di ATCL si ringrazia per l’ospitalità in residenza Carrozzerie | n. o. t. con la collaborazione di Teatro Asioli - Correggio

 

 fotografie © Claudia Pajewski

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