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L'AMORE DEL CUORE

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DI CARYL CHURCHILL

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Di cosa tratta L'amore del cuore? L’argomento, la storia sono in qualche modo secondari, perché l’intenzione principale di Churchill è di distruggere il testo stesso, usandolo per smontare i meccanismi del teatro, della realtà e delle relazioni che all’interno di questa realtà si costruiscono moltiplicando abitudini, rimossi e abissi. Certo c’è un filo narrativo, una piccola storia familiare, punteggiata da fatti e incidenti non esplicitamente legati tra loro, ma percorsi tutti da una stessa preziosa inquietudine, in cui l’ordinaria perversità dell’istituzione familiare e dei suoi meccanismi relazionali e sociali è letteralmente gettata in scena, per spingersi fino a quella esplosione della parola, del linguaggio, del sistema di segni attraverso la cui mediazione diamo senso al mondo.

 

L'amore del cuore – che è anche solo un grande testo sull’attesa – inizia con un’ambientazione realistica da dramma domestico, ma subito la superficie di normalità si incrina in una delle molte interruzioni/riprese della narrazione che punteggiano il testo. I personaggi si fermano per ricominciare, come un disco rotto, da un punto immediatamente precedente, replicando azione e dialogo con piccole modifiche – riprese che creano un effetto di disorientamento, annullando la verosimiglianza del primo breve segmento e risignificando l’orizzonte di attesa. Come se si trattasse non di una rappresentazione, ma dei resti di una rappresentazione, in cui i personaggi incertamente recitano se stessi e la propria vita. 

 

Scegliamo per L’amore del cuore la forma ibrida e ‘ambigua’ di quella che potrebbe a prima vista sembrare una messinscena, ma con l’intenzione di radicalizzarne e metterne a nudo il dispositivo interno, facendone – letteralmente – il disegno di regia. Mostrando, in tempo reale il combattimento dell’attore e l’immediatezza delle sue reazioni di fronte alla parola ricordata, dimenticata e rimemorata. Una forma scenica radicale e formalmente precisa per mettere a nudo il momento stesso del formarsi dello spettacolo, quando il testo – inteso come successione di parole, lemmi, sintassi – si apre alla regia e al suo immaginario, ai paesaggi sonori, ai movimenti scenici o alle inaspettate suggestioni visive. 

 

Perché L’amore del cuore accanto e intorno al testo in sé costruisce letteralmente una scatola sonora fatta di un minuzioso uso di microfoni invisibili e una partitura quasi musicale di rumori, pause e iterazioni sonore. Mentre d’improvviso ‘irrompono in scena’ uno struzzo, una torma di bambini, il fragore di mitra che – a quanto il testo indica – uccidono letteralmente tutti. Irruzioni semplicemente ‘dette’ e che semplicemente ‘accadono’, perché Churchill chiede e chiama la vita organica e incontrollabile a fare intrusione nel meccanismo inceppato della realtà. E se richiederebbe la presenza di uno struzzo in carne e ossa, è il suo fantasma narrativo – pericoloso e bellissimo – a entrare veramente sulla scena, nello spazio umano del teatro mentre le luci scendono piano.

 

Una forma scenica che è quasi un esercizio spirituale di lettura, scelta proprio perché il teatro di Caryl Churchill così insolito e poco addomesticabile sembra chiederlo. Una scrittura che - come un vaso di Pandora - è piena di affascinanti trabocchetti drammaturgici, d’invenzioni e sperimentazioni sul filo della lingua e dell’azione, sotto cui sono disseminati i temi, sempre politici, sempre vicini a questioni come l’identità, la costruzione delle relazioni pubbliche e private, la messa in scena della realtà, la frattura tra questo rappresentare e il rappresentarsi – come società o come uomini – rincorrendo quella cosa chiamata verità. 

 

L’allestimento semplicissimo permette a L’amore del cuore di farsi negli spazi più diversi: un tavolo, quattro sedie, un appendiabiti poco discosto, 4 tazze da tè di porcellana inglese, una teiera, cucchiaini. Gli abiti nei toni del grigio e dell’antracite stinti, come fossero presi da fotografie scolorite. Un set di microfoni di diverse nature: panoramici per rendere astratta l’azione, a contatto per far risuonare il tavolo e levalier per restituire anche le più piccole esitazioni del linguaggio. Un piazzato livido – come un ring di luci a vista – intorno al tavolo di cui calibrare le intensità. E dietro al tavolo uno schermo sospeso, a vista, con un conto alla rovescia che definisce l’impostura della narrazione e sottili interferenze visive che ne disturbano a tratti l’andamento.

testo di Caryl Churchill traduzione Laura Caretti, Margaret Rose un progetto di lacasadargilla regia Lisa Ferlazzo Natoli con Tania Garribba, Fortunato Leccese, Alice Palazzi, Francesco Villano e con Angelica Azzellini (Roma), Chiara Marrani (Kilowatt) Maria Luisa Zaltron (Pordenone) suoni e spazio scenico  Alessandro Ferroni luci Omar Scala immagini Maddalena Parise costumi Camilla Carè aiuto regia Flavio Murialdi foto di scena Sveva Bellucci comunicazione Margherita Masè produzione Teatro Vascello La Fabbrica dell'Attore e lacasadargilla con il supporto di Theatron Produzioni e il sostegno di Bluemotion

Debutto: 2021

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 fotografie © Sveva Bellucci

“Sii gentile con lei,

ecco tutto

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