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2009

FOTO DI GRUPPO IN UN INTERNO

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1933 dintorni di Trieste. I Benedetti-Klemen, grande famiglia d’imprenditori, si riuniscono per tre giorni nella casa dell'infanzia. Riunirsi ha il sapore di un’antica consuetudine, malgrado gli improvvisi attriti familiari e il fascismo che trionfa festoso. Tutta la famiglia, d’origine ebraica, ha vissuto con tranquillità, a tratti un’interessata connivenza, il nuovo corso del governo italiano. Nessuno d’altronde potrebbe credere che la propria vita possa cambiare, né ha voglia di ricordare le abili speculazioni di famiglia e gli anni di guerra appena passati. E quei racconti dei primi ebrei tedeschi poi, sono così inverosimili… Ma Trieste è una frontiera mobile, sempre sotto assedio, dove si mescolano vicinanza e diffidenza tra persone e etnie: così la riunione improvvisa, il risalire d’eventi nascosti, una presenza imprevista e il brusco scivolare degli avvenimenti più avanti nel tempo, daranno alla storia una piega che i Benedetti-Klemen non avrebbero davvero potuto prevedere.

Un interno borghese, dai tratti apparentemente realistici, per raccontare – come in un teatro nero, da camera, che ha un’eco de L’Angelo Sterminatore – con movimento allucinato e fantasmatico, danzato e corale, cosa produca una scelta quando la storia è a un bivio. Mentre la parola cede il passo al corpo che spinge in gesti ripetuti quel che resta del racconto di una deportazione.

 

Una terra di frontiera, il mito di un’identità condivisa - una guerra ricordata e una da venire - il grande rito dell’Italia Balilla e di Faccetta Nera, lo sfarzo di un’epoca che senza saperlo già declina verso il proprio disfacimento restando a guardare, come da un treno in corsa, la propria e l’altrui morte. E sotto, la casa, sempre la casa e il giardino, con i suoi rumori, i suoni, una radio lontana che trasmette le cronache del regime e ‘Quizas quizas quizas’ che invita ad un grande ballo di famiglia.

Foto di gruppo in un interno è un lavoro sul tempo, su quel punto preciso in cui il passato ci ri-guarda per interrogare la contemporaneità. Scrittura intorno a quel passo appena prima della catastrofe, a quella zona grigia di ogni uomo dove la complicità diviene compromissione; sulla morte e la memoria. Sotto vi è come un nodo, sviluppato sotto forma di falso affresco storico: il fascismo latente, nelle conversazioni prima che negli atti e i rapporti di potere, in quel luogo senza scampo che sono le mura familiari, soprattutto quando le abitudini distraggono e distorcono i corpi mentre la Storia si prepara ad attaccare, d’improvviso.

Molto di questo lavoro si è fatto anche intorno a un’ossessione: fotografia e memoria. I ritratti: le istantanee familiari, o i ritratti privati piegati in una tasca e accartocciati dentro al reggicalze per portarli via in fretta. Le grandi foto di famiglia ché se ci si avvicina lasciano intravedere un movimento imprevisto e casuale. Piccole polaroid da raccogliere in fretta per prepararsi: alle notizie di domani, a morire oppure semplicemente a correre via, come stesse per accadere un’ispezione privata e brutale. E sempre il tempo, il tempo lungo della posa. La memoria come catalogo ossessivo, dei sentimenti dei cibi dei libri della casa, dei giorni e dei verbi. Tutto il resto si sta decomponendo. La memoria bruciata del di dove veniamo che riallaccia con gesto netto un passato aspro al ‘qui ed ora’ del nostro presente.

 

In questo gioco d’interno borghese la scrittura azzarda, una drammaturgia che tratteggia una piccola epica contemporanea, una temporalità sull’orlo di una catastrofe: tempo presente - Italia, Trieste 1933 che cade verso l’Italia del 1945; e ancora Italia, Trieste 1933 che scivola indietro verso la Grande Guerra. O ancora: Italia, Trieste 1945 che precipita in avanti, 1990, verso la guerra dei Balcani.

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drammaturgia e regia Lisa Ferlazzo Natoli con Vladimir Aleksic, Ilenia Caleo, Caterina Carpio, Simone Castano, Antonio Cesari, Fortunato Leccese, Elisa Lucarelli, Emiliano Masala, Alice Palazzi, Caterina Silva luci Luigi Biondi scene Fabiana Di Marco consulenza costumi Gianluca Falaschi movimenti di scena Damir Todorovic suono Fabio Vignaroli immagini e collaborazione al progetto Maddalena Parise aiuto regia Kadia Baston e Valentina Morini foto di scena Sveva Bellucci ritratti fotografici Jacopo Quaranta una produzione ZTL-Pro, lacasadargilla e Centro RAT/Teatro dell’Acquario, con la collaborazione di Teatro Forte

foto

 

 fotografie © Sveva Bellucci

“Ci eravamo promessi di essere felici

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progetto fotografico © Jacopo Quaranta

 

progetto fotografico © Jacopo Quaranta

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