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KATZELMACHER
2011
DA RAINER WERNER FASSBINDER
note
Questo insolito testo di Fassbinder è un racconto sul fascismo di provincia, sui sistemi coercitivi del branco, e sui meccanismi di sopraffazione. Sugli stereotipi, dell’immaginario e del linguaggio.
La vicenda si può ridurre a poche righe, quasi sconcertante nella sua banalità: intorno al 1970 in un’imprecisata cittadina tedesca l’arrivo di un lavorante straniero scatena i pettegolezzi, l’astio e i desideri di un gruppo di giovani, fino a raggiungere una piega violenta che si risolve però in un miserabile niente di fatto. I giovani di Fassbinder incarnano tutte le distorsioni della società in cui abitano e in cui, pure, non riescono a integrarsi: indolenti, opportunisti, diffidenti, genericamente xenofobi, vigliacchi e violenti. E soprattutto, privi di desideri abbastanza saldi da spezzare questo inconsapevole e allucinatorio rito di gruppo.
Il testo è prosciugato e crudo fino a essere quasi artificiale: le battute sono sommarie e concise, ma è proprio il tratto veloce a lasciar trasparire d’improvviso il profilo dei personaggi, la direzione degli sguardi e ogni sotterranea, quasi involontaria, intenzione.
Il retroterra è si, sociale e politico, ma Fassbinder guida la scrittura su un piano assolutamente emotivo, muovendosi tra fantasie, insinuazioni e tensioni improvvise. Ma che mai, mai riesce a esplodere in tragedia.
C’è infatti anche qualcosa d’impersonale nei tratti degli undici protagonisti, tutti come già interpreti di un comportamento sociale collettivo, che per una sorta di legge del profondo, obbedisce a pulsioni antiche e inconsapevoli, destinate a ripetersi ossessivamente.
La drammaturgia si struttura così in un accumularsi di micro-narrazioni su fatti avvenuti altrove, frasi fatte su esperienze mai vissute a pieno, racconti frammentari e ripetuti, parziali e insinceri.
In uno spazio interamente spogliato da connotazioni, sono i corpi a disegnare i luoghi su una cadenza da montaggio cinematografico suggerito dalla stessa scrittura: la sovrapposizione tra scene, la coabitazione tra primo piano apparente e campo lungo, il costante sentore di un ‘fuori campo’, la separazione improvvisa per branchi, consegnano ogni parola alla forma pubblica, alle sue indiscrezioni e alla sottile violenza dello sguardo. È un prologo per fotografie della Germania ad aprire il lavoro, un ‘calendario’ che scivola da inizio secolo agli anni settanta su una musica strappata a Phantom of the Opera di Brian De Palma.
Lo spettacolo, illuminato da chiarori lividi, vuoto di ogni scenografia, con pochi tratti storici nei costumi, si lascia ‘attrarre’ dall’immagine cinematografica sempre adombrata dal testo, e ritma l’azione su una sequenza video in bianco e nero di primi piani dei protagonisti, che cambiano impercettibilmente e si deformano in un paesaggio a schermo pieno su fondo campo. Sarà una lunga immagine intermittente a sovrapporsi all’ultima posa fotografica dei giovani di Fassbinder, a evocare i tanti volti d’Europa che svaniscono in una distesa di mani levate per una manciata di secondi.
KATZELMACHER
il film, le immagini video
Abbiamo sempre lavorato in teatro guardando al cinema come bacino di immaginari, dispositivo narrativo e spaziale, cercando nel cinema strade narrative, una struttura e una lingua che, riportate poi al teatro, ci permettessero di mettere in questione la scrittura, spaziale, del corpo e della parola. In Katzelmacher è avvenuta un’inversione: abbiamo riscritto in forma cinematografica tutto il lavoro, ed esso, pur avendo una sua autonomia, si è a sua volta intromesso, in forma di frammenti, nel lavoro teatrale. È come se il film avesse generato altre storie: nella forma di ritratti silenziosi che durano minuti, i personaggi si sdoppiano e permettono di percepire quel che è sfuggito ai ritmi serrati del racconto: il distacco di uno sguardo, la repressione di una reazione, il prolungamento di una risata.
KATZELMACHER
le immagini-prologo
Nella forma di prologo che precede lo spettacolo, l’Europa scorre a ritmo di montaggio fotografico e apre alla storia di Katzelmacher. Immagini di repertorio e finti ritratti che si posano come una pellicola sottile sullo spettacolo e ne sono al tempo stesso generate. Un montaggio che inverte il principio del fuori campo ‘narrato’ dalle immagini cinematografiche in scena e scorre a fondo campo come fosse un lunghissimo ‘titolo di coda’.
crediti
scrittura collettiva da Rainer Werner Fassbinder progetto e regia Lisa Ferlazzo Natoli con Fulvio Accogli, Elisa Di Francesco/Rosa Palasciano, Roberta Guccione, Vincenzo Lesci, Lorenzo Robino, Massimo Mento, Raffaella Paleari, Domenico Piscopo, Tonia Specchia, Francesca Verzaro, Mario Zaza regista collaboratore Alice Palazzi drammaturgia Mattia Cinquegrani assistenti al progetto Elisa Di Francesco e Lorenzo Robino luci Giuseppe Falcone/Raoul Terilli regia immagini video Alessandro Ferroni immagini prologo Maddalena Parise foto di scena Jacopo Quaranta grafica madpar organizzazione Simona Patti produzione Centro Internazionale La Cometa e lacasadargilla in collaborazione con Angelo Mai Altrove Occupato residenze artistiche Kollatino Underground
foto
fotografie © Jacopo Quaranta
“Katzelmacher: espressione idiomatica dispregiativa.
Significa più o meno “terrone” ”