2006
LA CASA D'ARGILLA
Casa, luogo parentale, abitato da fantasmi e memorie, mentre dall’esterno penetra, per le crepe dei muri, un’aria densa di sortilegi. Solo un tavolo lungo e stretto e cinque donne intorno, sei sedie. Interno dove guardare come dal buco di una serratura, primo piano su un’orda al femminile. Quattro donne sono appena tornate, entrano nella storia sedendo attorno al tavolo attraverso una sequenza di fotografie ‘in movimento’ quasi fotogrammi come fossero parte di essi. La quinta le accoglie, forse le ha chiamate.
Per assistere la madre morente? O per ricordarla? Ma è davvero la madre in quella camera chiusa? È solo lei che sta morendo?
Come fosse cibo, dopo una lunga astinenza, le donne consumano e divorano immagini e storie, desideri rancori, memorie d’infanzia e ossessioni, mentre il giorno s’incrina nella notte e la notte nell’alba, il tempo bianco della vestizione. Quel tavolo, come una trappola per topi, espone i corpi e produce mutazioni: posture anomale – le spalle, i profili, le sole gambe e le mani come arti smembrati; spazi inattesi – il sotto tavolo, il sopra, il piano orizzontale come un campo da esplorare; buchi temporali – memorie mobili, instabili tra passato e presente. Finzioni e travisamenti volontari.
Si veglia una morte e una morte le veglia, il corpo resiste, ha una voce e un odore, si ostina a non voler morire. E una lotta s’ingaggia con i morti, in un’intimità meravigliosa e terribile, sgranando, come sul rosario di famiglia, un inventario e una conta dei defunti, un calendario di abbandoni precoci.
La veglia riguarda il morire, e l’essere vigili, è una soglia e un tempo di mezzo, ricorrenza tra le morti, che sostituisce al coro antico dei lamenti una festa di corpi di risate e di canti. Si celebra il defunto? O la vita che resiste? O è una festa d’addio?
LUNGO LA STRADA D'ARGILLA
appunti di drammaturgia
Si è chiamata La casa d’argilla un’immagine ostinata e elementare: un tempo da consumare dal tramonto alle prime luci del giorno, e l'occasione, una veglia funebre. Argilla viene dal greco argos, bianco, sedimento di roccia alluvionale, per sua natura modellabile e friabile ad un tempo. Il compito: costruire una piccola ricognizione sulla morte avendo per restrizione un nucleo familiare; assieme alle attrici si è costruita una biografia di queste donne, partendo dalla scelta del nome, di un temperamento e un piccolo elenco di temi e testi cari, che magari si portavano appresso da tempo.
“Potremmo mai essere noi, senza i morti?”, dice Rilke, e di pronto c’era solo una grande sala da pranzo, scegliendo i mobili, una certa consistenza delle pareti e una luce. Dentro oggetti e libri, alcuni chiaramente in vista, appoggiati sul tavolo, addirittura aperti e sottolineati, altri stipati nei cassetti, altri ancora chiaramente dimenticati. In pratica si è trattato di improvvisare su temi, brandelli di testo, scene di film, quadri, trascrivere quel che di interessante usciva, riscrivere creando un linguaggio omogeneo tra le donne e le lingue, restituire alle attrici, sottoporre a verifica e rettifica più volte. Ci sono state tracce assolutamente singolari e altre dispoticamente comuni, decise dalla mano esterna. Si è trattato quindi d'accettare soprattutto quel che andava componendo le pareti di questa casa, prima che si solidificasse diventando un testo; essere sedotti da un'aria, da quel che vi pullulava dentro. Accettare un micro mondo quasi invisibile, un incanto delle parole e un procedimento di lavoro. Muoversi bene al suo interno, tanto bene da ingannare la casa e fargli assorbire linee narrative imprevedibili. È venuto fuori un testo fatto di storie minute, dove bisogna tener care le cose di poco conto e di poco peso. E ne è nata una strana notte, in cui queste donne attraverso un ritorno e una soglia aperta dalla morte della madre, come fossero le ultime di una stirpe, giocano con il tempo, rivivono blocchi di passato, falsificano i fatti, toccano ognuna a suo modo la pelle viva dei propri lutti, scivolano in un calendario di morti dimenticate per ridargli un nome. Festeggiano danzando questo banchetto funebre che libera e incatena ad un tempo, prima che la notte si consumi, in un gesto che riesca a trattenere la memoria.
Si ispira ai temi de La casa d’argilla l’istallazione multipla di diapositive Slides, ritagli del tempo.
note
crediti
regia Lisa Ferlazzo Natoli scrittura originale collettiva con Monica Angrisani, Valentina Curatoli, Tania Garribba, Alice Palazzi, Paola Tintinelli scene e costumi Fabiana Di Marco drammaturgia delle luci Luigi Biondi suoni Fabio Vignaroli musiche Gabriele Coen e Andrea Pandolfo foto di scena Sveva Bellucci produzione Fondazione Teatro Due/Festival di Parma
foto
fotografie © Sveva Bellucci
"Quanto più allontano il mio cuore dalla casa d’argilla
in queste notti spazzate dal vento e dalla luna, tanto più sono… felice"